orrado Domenico Nicolò Antonio Giaquinto nasce a Molfetta 18 febbraio 1703, in via Sant'Orsola, da Francesco, sarto nativo di Manfredonia, ma originario di Montuoro e da Angela Fontana di origine barese.
Avviato da giovinetto allo studio delle Lettere dai genitori, che volevano diventasse sacerdote, ben presto, però, scopre la sua vera inclinazione artistica.
Determinante è l'incontro con il lombardo Ludovico Vittorio Iacchini, famoso architetto ed esperto di scienze matematiche, maestro dell'Ordine di San Domenico, che si trovava a Molfetta, mentre si concludevano i lavori della Chiesa di S. Domenico. Il domenicano intuisce il talento artistico del giovane e lo convince a dedicarsi alla pittura.
Corrado frequenta la bottega di Saverio Porta, pittore locale, amico di famiglia che il 27 maggio 1714 era stato suo padrino di Cresima. Questo periodo di formazione inciderà profondamente sulla sua sensibilità pittorica.
Nel 1719 Giaquinto si reca a Napoli al seguito di Monsignor De Luca, suo mecenate, che lo introduce nella bottega di Nicolò Maria Rossi; qui vi rimane un anno per passare poi presso la scuola del Solimena, che grande fascino esercitava all'epoca sui giovani artisti napoletani.
Corrado rimane nella capitale per circa quattro anni, durante i quali si fa conoscere e apprezzare negli ambienti culturali napoletani e dallo stesso Solimena
I suoi biografi affermano che tra gli artisti non fu mai oggetto di invidia e tutti ne riconobbero sempre il grande talento.
Una delle prime opere del giovane è la piccola tela raffigurante S. Giovannino, di proprietà del canonico llarione Giovene di Molfetta.
Nel 1723 a vent'anni, con una lettera commendatizia del vescovo di Molfetta Mons. Pompeo Salerni al cardinale suo fratello, si trasferisce a Roma, dove trova il suo primo protettore in Monsignor Ratta, auditore della Camera Apostolica.
Questo viaggio, secondo il De Dominici, si rende necessario perché Corrado sente il bisogno di apprendere perfettamente il disegno nel quale egli stesso si sente incerto. Ed è proprio l'impegno profuso nel perfezionare le sue potenzialità grafiche che gli provoca una breve malattia dalla quale riesce a guarire.
Entra in seguito nella bottega di Sebastiano Conca già famoso a Roma e ben inserito negli ambienti artistici romani.
Nel 1725 il cardinale Acquaviva gli affida l'incarico di affrescare il medaglione centrale del soffitto della Chiesa di S. Cecilia in Trastevere, che raffigura l'Apoteosi della Santa.
Nella Roma barocca, pur saltuariamente, si fermerà sino al 1753, anno della sua partenza per Madrid.
Il 21 gennaio 1731 stipula, per 500 scudi, un contratto di lavoro con deputati della Congregazione di San Nicola dei Lorenesi e si impegna a dipingere la tribuna, la cupola, gli angoli, i cori e tutta la volta della chiesa con ornati.
Successivamente nel 1753, anno della morte della sua giovane moglie, affresca la volta della Cappella Ruffo nella Basilica di S. Lorenzo in Damaso, la volta e il coro di S. Giovanni Calibita sull'isola Tiberina ed affronta il grande programma decorativo di S. Croce in Gerusalemme: tre tappe decisive nell'evoluzione del linguaggio e della struttura scenografica giaquintesca.
Su invito di Filippo Iuvarra, Corrado si reca a Torino nel giugno del 1733 e lavora agli affreschi di Villa della Regina ma, dopo pochi mesi, per motivi di salute abbandona la città.
Vi ritorna nel 1740, dà libero sfogo al suo Rococò ricco di grande lirismo e canta la genuina e semplice vita arcadica.
Il 3 gennaio 1740, l'Accademia Romana di S. Luca lo elegge, per merito, membro del prestigioso sodalizio, che garantirà all'artista nuove committenze.
Le dodici tele mitologiche custodite in casa De Luca a Molfetta sono da inserirsi immediatamente dopo il secondo soggiorno torinese e furono eseguite nella stessa città.
Un'intensa attività lo porta ad operare nel Duomo di Fermo, nel Palazzo Bonaccorsi e Ricci a Macerata e a Cesena, dove, spinto dal can. Francesco Chiaramonti eminente giurista, dipinge nel Duomo la cupola della cappella della Madonna del Popolo.
Nel 1753 si trasferisce a Madrid, chiamato da Ferdinando VI per succedere a Iacopo Amigoni, in qualità di pittore di corte e di Rettore dell'Accademia di S. Ferdinando.
Sino al 1762 lavora alle chiese madrilene, al Palazzo Reale, all'Escorial e ad Aranjuez, lasciando opere alle quali si ispireranno molti pittori polacchi, francesi e spagnoli.
Trascorre gli ultimi anni di vita a Napoli, dove muore il I 766 per apoplessia.
Della sua sepoltura si è persa ogni traccia.
Manoscritto del Notar Muti sulla famiglia Giaquinto
Il primo di questa famiglia che è venuto in questa città circa l'anno 1690 è stato mastro Francesco Giaquinto sartore nativo di Manfredonia ma originario di Montorio; per la sua professione si pose per lavoranza con Giuseppe Fontana parimenti mastro sartore. Francesco si accasò colla figlia di mastro Giuseppe chiamata Angela; in conseguenza dal quale matrimonio nacquero due femmine, una maritata in Modugno, l'altra in questa città con Michele Vitagliano parimenti mastro sartore e tre maschi, don Giuseppe, e don Saverio ambi sacerdoti: e l'altro Corrado il quale prese li primi principij della Pittura sotto Saverio Porto mastro pittore, e poi con lettera commendatizia diretta dal nostro Vescovo al Cardinal Salerni suo fratello, si portò in Roma, dove colla sua arte in cui è riuscito eccellentissimo, si ha fatto strada con molti Signori Cardinali, e Prinicipi romani, e stranieri a segno tale che vacuo in questo anno il canonicato del can. D. Ambrogio Viesti e spedito da qui corriero in Roma a D. Peppe Ventura da suoi fratelli; annotava la nuova il Cardinal...
Protonotario, lo provvide in persona di D. Saverio Giaquinto, senz'aspettare li requisiti dal medesimo; e .. . il detto don Ventura benchè presente in Curia causa studi; poiché il nominato Cardinale tiene in tanta stima Corrado Giaquinto che lo ammette alla sua mensa.
Giaquinto ancora fa nome proprio, il Falcone Bene ventano in ... nell'anno I 437 ibii Giaquintus . . .ille per cIavicum de ingrediens Magni e Clavica.
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